By Dieglop (Own work) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons |
Però vorrei farmi e farci un augurio che può sembrare banale ma banale non è affatto. E questo augurio è di riuscire a far breccia anche in spiriti non tecnologici per aumentare la consapevolezza verso i beni comuni.
Mentre per acqua, verde, luce possiamo discutere su aspetti concettuali, ma l'aspetto "comune" è evidente e fenomenologicamente visibile, è più difficile capire e interiorizzare l'importanza "comune" di informazioni, quali la posizione di una fontanella, la posizione dei bidoni per il riciclaggio. E' più difficile percepire l'importanza "comune" del passato, non inteso come i soliti eventi di ricordo che risultano molto estetici e che consentono di vedere le gerarchie istituzionali dei comuni ma non vanno in alcun modo oltre questo gesto. E' più difficile accettare l'importanza dell'informazione "comune" relativa alle meta-informazioni quali "a quale periodo si riferisce quel documento pubblicato sul sito del comune di turno?" o "con che criterio sono stati aggregati i dati per fare quelle valutazioni?" o "quale metodologia è stata utilizzata per analizzare quei dati?". E', infine, più difficile rendersi conto dell'importanza dell'apertura del codice della applicazioni ad uso interno appaltate e fornite alle pubbliche amministrazioni, quali i vari gestionali interni e i CMS.
Le varie leggi su trasparenza e simili graffiano a volte a malapena la superficie del problema. La pedissequa applicazione della legge genera una "area trasparenza", per i vari enti, che è forse utile vista in forma burocratica, ma risulta totalmente inutile per il cittadino che volesse avere percezione di questa trasparenza. Eppure esperienze dirette fatte in UNIBO dimostrano che la maggiore consapevolezza dell'importanza dell'apertura dei dati rende più leggibili e più utili i documenti di trasparenza di cui sopra.
Questo è vero perché alla fine, tutte le valutazioni che ogni giorno facciamo sono elaborazioni esplicite o implicite di dati che raccogliamo. Ovviamente vale per noi come esseri umani, ma anche per entità più complesse quali comuni, regioni ecc... E quelle "aree trasparenza", ad esempio, vengono costruite partendo, appunto, da dati raccolti all'interno dell'istituzione. E qui si arriva alla tragica fine della catena alimentare, che ne è anche il triste inizio: Gli appalti e la convinzione antica che riassumeremo con l'arrogante "l'amministrazione sa fare tutto".
E' negli appalti che si annida il peccato originale, e nell'arroganza della conoscenza l'uccisione di Abele: L'amministrazione non si rende conto del pericolo della perdita dei digital commons.
Esempio pratico italiota è Google Art Project: Meravigliosa vetrina per i nostri Uffizi, che senza molte remore ha regalato tutte le foto ad altissima definizione delle opere d'arte a Google, che li ha inseriti nella piattaforma dando a quest'ultima ancor più visibilità (la visibilità degli Uffizi è aumentata ma pochissimo rispetto al resto). Eppure basterebbe liberalizzare le foto all'interno dei musei, basterebbe pubblicare le strutture interne dei musei su OpenStreetMap, basterebbe consentire la pubblicazione delle foto ad alta definizione nella rete, basterebbe, come sta facendo l'istituto Smithsonian negli USA, decidere che le informazioni più visitate sono su wikipedia e quindi migliorare quell'archivio di conoscenza comune per massimizzare la visibilità delle opere e la conoscenza dei percorsi nel museo.
Senza andare così in alto, quasi tutti i siti comunali di qualsiasi dimensione contengono mappe di Google. Le informazioni visualizzate sono di proprietà di Google, mentre basterebbe poco per utilizzare le mappe di OpenStreetMap. Se lo facessero consapevolmente, sarebbe una scelta. Discutibile, ma pur sempre una scelta consapevole. Ma quasi sempre la scelta è totalmente inconsapevole. Il paradosso è che con OpenStreetMap, qualora ci fossero errori o imprecisioni, è possibile far crescere comunità locali rendendole consapevoli del loro territorio per migliorare le informazioni comuni, creando, con la scusa digitale, uno "spirito del luogo", che nel mondo del pendolarismo moderno ha sempre più importanza e valore.
Il problema è, tragicamente, la mancanza, in questo nostro buffo paese, di una visione d'insieme. Di un CIO, un Chief Information Officer, uno specialista informatico che possa dare una visione di medio periodo al paese e che dia una direzione di massima fornendo degli strumenti a cittadini e istituzioni di ogni livello per lavorare insieme e digitalizzare il paese. E tutto questo senza nulla togliere ai Digital Champions, AGID e simili, anzi, dando loro un quadro di riferimento che consenta di non andare in direzioni sostanzialmente casuali rischiando, per altro, di perdere ogni valutabilità del loro operato ma bensì valorizzandolo e muovendo le pedine istituzionali in modo da eliminare ogni genere di impedimento burocratico alla partecipazione tecnologica.
Ecco, questo è quello che vorrei che avvenisse nel 2015. Che tutti capissimo che i beni comuni non sono solo quelli che le istituzioni offrono fisicamente a noi, ma anche tutto il resto che ancora non è considerato bene comune, forse anche più importante per il nostro futuro in un mondo digitalizzato. E, visto che ci siamo, vorrei che finisse questo priapismo dei numeri. Non siamo anglosassoni, bene importare le metodologie numeriche, ma malissimo non interpretarle e renderle proprie (ovviamente per alcuni fa gioco, ma è un gioco nel quale ci rimettiamo tutti).
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